di Vicenzo Orefice
È buio, c’è odore di umido e muffa. La moglie, le figlie, gli amici, i colleghi di lavoro sono tutti preoccupati per lui. Non sanno più dove sia finito Nicola, il suo cellulare suona a vuoto per ore, poi è staccato, e lui non si fa vivo. È sparito nel nulla, come una bolla di sapone, senza lasciare traccia. Nik, come lo chiamano tutti, non ha perso la memoria, non si è smarrito, non è stato aggredito. Peggio.
Intanto a casa, Silvia, sua moglie, pensa e ripensa alle cose dette nei giorni precedenti alla sua scomparsa. Non si dà pace per avergli gridato di essere un fallito per l’ennesima volta durante l’ennesimo litigio.
–Che Nicola si sia ammazzato? Impossibile!?– pensa Silvia, non ci vuole credere, lui non avrebbe mai abbandonato la sua trottolina e le loro piccole, di nove e sei anni, col faccino identico a quello di papà. Non può averlo fatto. E infatti non è così.
Nik non si è ucciso e non è impazzito. Nik si è costruito un rifugio, come quando da piccolo, in campagna, si nascondeva per ore nella casa rosa abbandonata, una cascina diroccata e fatiscente che a lui però pareva una reggia perché lì si sentiva protetto.
Mentre tutti lo cercano, Nicola ha la faccia illuminata dalla luce del computer e se ne sta seduto con la mano sul mouse. Ci sono volute settimane di preparazione per organizzare la sua fuga. Il luogo l’ha inquadrato da subito: il garage sotto casa, dove la sua famiglia tiene le biciclette, attrezzi da lavoro arrugginiti e mensole piene di niente. Sottoterra a meno di dieci metri quadri, ma con elettricità, un lavandino e acqua corrente. Un posto chiuso e sicuro, di cui la moglie e le figlie non hanno nemmeno le chiavi. Un vero e proprio bunker.
Nicola, per giorni, non ha pensato ad altro. Era eccitato all’idea di nascondersi lì dove nessuno potesse disturbarlo, né vederlo. A rendere perfetto quel luogo mancava soltanto un dettaglio: la connessione internet. Difficile ma non impossibile.
Un giorno, il tecnico Fastweb è venuto a cablare il suo rifugio e Nik gli ha fatto trovare un vecchio computer, posizionato su un tavolino traballante. La faccia attonita del tecnico al lavoro in quel buco umido strideva con quella radiosa di Nicola, che ha chiesto eccitato se anche lì sotto si andasse a 10mega. Il tecnico, dopo aver risposto di sì, a mezza bocca, si era dileguato: è stata l’ultima persona a vedere Nicola prima che la saracinesca si chiudesse.
Il viaggio di Nicola ha inizio. Non gli manca nulla: il pc connesso, una stecca di sigarette, un plico di Gratta e Vinci e la sua moneta portafortuna… perché lui gratta solo con quella. Con la mano sinistra fuma, mentre con la destra muove nervosamente il mouse.
Nik apre due tavoli di poker Texas Hold’em: un testa a testa e un torneo. Negli ultimi anni è esploso il fenomeno del poker texano, la variante americana del gioco di carte che ha appassionato milioni di persone, cioè il poker classico, quello a cinque carte. Ispirato dai film in cui Terence Hill giocava e nei suoi occhi azzurri si rifletteva sempre un poker d’assi, mentre due li teneva di scorta sotto il cappello pronti all’uso. Così ha imparato il gioco del poker, Nik.
Coppia, doppia coppia, tris, full, scala, colore, un gioco di astuzia, abilità e un po’ di fortuna, ora disponibile anche on line.
Ci s’iscrive, nome, cognome, soprannome di battaglia, e si comincia. Inizialmente si gioca con soldi finti, ma ci si diverte lo stesso, almeno all’inizio. Certo, dopo un po’ si fa avanti il brivido di puntare i soldi veri. In questo caso basta inserire il codice fiscale e il numero della carta di credito per caricare la somma di denaro che si vuol rischiare, e così fa Nik.
Le partite ai suoi tavoli stanno per iniziare: la prima è “uno contro uno”, il secondo tavolo è un torneo con ottantadue iscritti. Ma viene sbattuto fuori in neanche mezz’ora, succede anche ai migliori. Vero. E allora ne apre altri due, e poi altri due, e ancora altri due. Tutto in meno di una manciata d’ore. Forse è meglio cambiare tattica, giocare più tight, come dicono in televisione, insomma più chiusi, più prudenti, scommettendo soltanto quando hai un punticino in mano, anche se è meno divertente perché il gioco si rallenta un bel po’, e, per ammazzare l’attesa, Nik si apre anche due pagine di Gratta e Vinci on line che si grattano con una monetina virtuale, telecomandata dal mouse.
Nik ha tutto sotto controllo, ha tutto quello che ha sempre sognato e che ora sta vivendo. Peccato che non possa vedersi al di fuori. Se ne sta lì seduto, gobbo sul computer che fievolmente gli illumina la faccia, muove a malapena la mano con cui impugna il mouse, si alza per fare la pipì nel lavandino, fa scorrere l’acqua e poi ne prende una sorsata. Passano ore, non si sa più se è notte o giorno.
Nicola è paralizzato, neanche si accorge se vince o perde; non è quello l’importante, quello che conta è continuare a sognare indisturbato.
È continuare a non pensare: così si sente felice. Nessuno che scassa i maroni, senza la paura di essere scoperti da Silvia, che può entrare all’improvviso.
–È il momento dei miei adorati grattini-. Se n’è comprati trecento, da cinque e dieci euro, acquistati in autogrill diversi perché così aumentano le possibilità che si trovi quello vincente. Questa è la sua tattica. Nik prende la moneta portafortuna, una lira del 1938. Ma prima di iniziare a sverniciare sente dei passi e abbassa il volume del pc. Sente il rombo di un motore, è un diesel potente, è la bmw di Pisciotta, il dirimpettaio. Ma allora sono le 7:30, quello esce sempre allo stesso orario per andare a lavorare nella banca dove Nik ha il mutuo
Se sono le 7:30 ho giocato 20 ore di fila – pensa. Nik non ha fame, non ha sonno, e purtroppo non ha nemmeno un pensiero per le proprie figlie, perché esattamente a quell’ora toccherebbe a lui portarle a scuola, ma non ci pensa, non c’è tempo, soprattutto ci sono i suoi adorati Gratta e Vinci che aspettano.
Inizia a togliere piano la golia argentata che copre le combinazioni vincenti. È come se stesse spogliando una bella donna: lo fa lentamente, delicatamente, gustandosi ogni attimo, cercando di intuire i disegni stilizzati, i numeri. La monetina raschia e scoperchia i simboli di cui conosce perfettamente le combinazioni. I Gratta e Vinci sembrano non finire mai. Nik riscopre questa polverina argentata, che pare polvere di stelle. Si accende l’ennesima sigaretta, non accorgendosi di averne un’altra appoggiata al bordo della scrivania. Nel garage sotto casa, passa ore e ore a imbottirsi di false speranze, di sogni di vittoria, di paranoie. Anche adesso, nonostante sia solo, nonostante non ci sia più alcun rumore, a parte il click del suo mouse, Nik ha l’ossessione che qualcuno lo stani
Potrebbero avermi visto entrare; qualcuno potrebbe intravedere la luce del monitor dalla fessura della saracinesca– continua a ripetersi.
Si alza di scatto, non riesce a camminare: ha le gambe intorpidite, con le formiche che gli friggono sui polpacci. Sbatte i piedi a terra per far circolare il sangue, e una volta passati i crampi cerca qualcosa per bloccare la serranda del garage. Fruga in quel mucchio di cianfrusaglie finché trova una corda mezza marcia. Riesce a legarla tra la maniglia che serve a sollevare la saracinesca e la sedia dove sta seduto. Ora deve soltanto risolvere il problema della luce che filtra all’esterno. Usa il telo che copriva gli attrezzi e lo lega a due ganci infilati sul soffitto, e se lo fa cadere alle spalle, creando una specie di tenda, che tanto somiglia a quella che i bambini si costruiscono per giocare agli indiani.
C’è un uomo di quarantasette anni solo, sotto terra, a digiuno, che si sfama di acqua e sigarette da ventiquattro ore, immobile sotto un lenzuolo bagnato di muffa, ipnotizzato davanti a un computer. Se soltanto per un attimo riuscisse a guardare quest’istantanea della sua vita ne rimarrebbe sconvolto. E invece no. Nella sua testa è tutto sotto controllo, nessuno può entrare, nessuna luce, nessun rumore. Si ricomincia. Avanti con le puntate, avanti con il Gratta e Vinci on line. Nik è felice.
Passano le ore, troppe ore. Arriva il suo momento. Il minitorneo a cui sta giocando, e in cui sono partiti in settantadue, lo vede protagonista. Sono rimasti in due. La posta in gioco è alta: cinquemila euro. Gli sudano le dita, è sicuro di avere una mano vincente. Sul tavolo ci sono le tre carte del flop: donna, otto, jack. Nik ha un nove e un dieci. È scala! Il computer sputa altre due carte sul tavolo: il turno è un due, e l’ultima (river) è un quattro.
–È fatta. Vado di all in, e vediamo se mi viene dietro, ‘sto coglione non ha in mano niente!!– Clicca e … salta la connessione internet. –Noooooooo!!!– Gli esce dalla bocca un grido disperato. Sferra un pugno al monitor, che si rompe, assieme alle nocche della mano; prova odio, rabbia, che presto si trasforma in nausea e conati. È come se qualcuno gli prendesse lo stomaco e lo strizzasse. Nik vomita nel solito lavandino, dove piscia e dove beve da quattro giorni. Si sdraia a terra.
Ha bisogno di aria, deve respirare. Cerca di slegare la corda che blocca la maniglia, ma non è facile, è molto stretta e gli fa male la mano! Non ce la fa! Allora prima sferra altri due pugni alla saracinesca e poi inizia a tirare e per fortuna la corda si spezza all’apice dello sforzo. Spinge la porta basculante verso l’alto e si rotola fuori. Incamera aria a pieni polmoni, gli gira la testa, gli batte forte il cuore, forse è un infarto?, ma no, è tachicardia, è ansia, è paura, è la sua malattia.
Prova ad alzarsi ma non ci riesce: è ubriaco fradicio di gioco. È notte, ha le chiavi di casa e il cellulare in tasca. Accende il vecchio Nokia tenuto insieme dallo scotch; cinquantadue chiamate senza risposta e un botto di sms. Ne apre alcuni:
“Dove sei? Perché non rispondi? Ma ci dobbiamo preoccupare?”. “Nicola dimmi solo se stai bene”. Erano quasi tutti della moglie.
“Questa volta è finita, chissà Silvia che cosa avrà pensato, che mi sono ammazzato… sarebbe meglio per tutti” mormora.
Potrebbe andare a casa, dare una carezza alle sue bambine che dormono, sdraiarsi nel letto accanto al suo amore. Ce la può fare. S’incammina verso la rampa di scale. Sono quattro piani a piedi. A fatica arriva sul pianerottolo, ed entra senza far rumore.
Il profumo di casa lo abbraccia. Profumo di buono, profumo di sempre. Si dirige verso il bagno e accende la luce vicina allo specchio. Si guarda le mani: palmo e dorso sono ricoperti dalla polverina argentata dei Gratta e Vinci. Le strofina forte, ma quella patina non si stacca. Apre l’acqua, si riempie le mani di sapone liquido e comincia a sfregare. Si sfrega anche la faccia … forte, fortissimo e vorrebbe grattare via la pelle. Grattare.
È arrivato il momento di vedersi allo specchio. Quasi non si riconosce. La barba è sfatta, ha gli occhi gonfi, cerchiati da occhiaie violacee, i capelli sono unti e appiccicati alla testa, le labbra secche. Nik si è ridotto veramente male. Non ha mangiato né dormito per quattro giorni di seguito. Che follia!
Sono matto, pensa. Percorre il lungo corridoio fino alla stanza delle piccole, apre la porta a vetri ed entra piano nella cameretta illuminata dalla luce a bassa frequenza di Serena, la figlia minore, che ha paura del buio. Si affaccia sui lettini e guarda i suoi angioletti biondi. Che belle, siete gli unici amori del papà, pensa con un pizzico di malinconia e di vergogna, perché in realtà gli amori del papà sono ben altri. Rimbocca loro le coperte e per un attimo ripensa ai giorni trascorsi come un topo nel garage sotto casa. “A raccontarlo non ci crederebbe nessuno” si dice. Esce dal balcone della cucina e si accende una sigaretta. E, assorto, si gode la città di notte. C’è silenzio, ma nella testa sente ancora i rumori delle fiches, un’eco tremenda.
Come dal nulla, ecco Silvia, che lo stringe forte e gli sussurra nell’orecchio parole dolci: “Supereremo questo momento. So dove sei stato in questi giorni. Ci siamo noi. Ti vogliamo bene”.
Un’esplosione di fiducia e amore. Nik quasi non ci crede. E fa bene.
All’improvviso apre gli occhi e si ritrova sdraiato sulla rampa del garage, bagnato dalla pioggia. Era un sogno. Un bellissimo sogno, ma la realtà è un’altra. Nik è coperto dai debiti, ha perso il lavoro e continua a giocare. Oltre ai soldi ha perso Silvia, che l’ha sbattuto fuori di casa. E ha perso le sue figlie, che non vede da otto mesi.
Inizia a piangere convulsamente. Gridando al Cielo la sua disperazione. E improvvisamente si rende conto che è veramente la fine.
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